Stamattina ho fatto una cosa che nessuna mamma, forse, ha mai fatto.
Ho chiamato mio figlio al telefono, mentre era all’asilo, per chiedergli scusa.
Perché, da quando siamo usciti di casa sino a scuola, ho inveito contro di lui perché eravamo in ritardo. Perché pioveva e io avevo dimenticato l’ombrello in ufficio. Perché sua sorella non voleva camminare e piangeva e io, me la sono caricata sulle spalle, con le sue manine che mi schiacciavano gli occhiali e una sensazione di essere alta due metri, per via dell’ombrellino che lei teneva aperto sopra di noi. Perché avevo anche due borse pesanti e una giornata di una settimana volta quasi al termine, da affrontare.
Perché lui voleva leggere camminando il suo foglietto con i Gormiti. Io gliel’ho strappato di mano e accartocciato nella borsa: leggere e cercare di ripagare il foglietto, rallentava il suo passo e noi, anzi io, ero in ritardo sulla tabella di marcia.
Perché stavo perdendo la possibilità di bermi un caffè in santa pace, prima di entrare in ufficio.
Perché l’ho lasciato sulla soglia della porta della sua classe in lacrime, con la sua pallina di carta dei Gormiti, che la mamma gli aveva pure strappato.
“Matty basta! Smettila che sono in ritardo!”
Mamma, non si fa!
E poi, quando avevo ancora il ticchettio veloce delle lancette in testa, un amica mi ha dato un passaggio e non ho fatto tardi come pensavo. Sono arrivata prima. Oltre al caffè, c’è uscita la brioches.
E una volta davanti all’ufficio, prima di varcare il portone, mi sono sentita un verme. Avevo esagerato.
Non aveva senso.
E stavo male, malissimo.
Continuavo a pensare a quel suo musino disperato, alle sue lacrime.
A me che indemoniata, – io la chiamo la Sindrome della Mamma Hulk – , posseduta dall’isterismo di una mattina di pioggia, accartocciavo e quasi gettavo, qualcosa a cui mio figlio teneva. Perché ero in ritardo.
E sono stata cattiva, crudele.
Non si fa.
Anche quando sei in ritardo per andare in ufficio.
Neanche per tutto l’oro del mondo.
Non si fa.