Potenzialmente il carnefice e la vittima.
Mio figlio e mia figlia.
Il primo, un domani potrebbe essere l’uomo che uccide perché non sopporta il no di una donna, la sua libertà di essere; la seconda, un domani potrebbe essere la donna che incontra chi non ha capito che l’amore per lei, non si traduce in un: sei solo mia.
È proprio questo che sconvolge, che fa paura. Oggi non mi sembra possibile.
Allora, quando qualcosa fa davvero paura e sembra incontrollabile, io cerco di sviscerarla in ogni sua parte e, ponendomi mille domande, cercando altrettante risposte, anelo a una soluzione. La soluzione.
Qui, però, non si tratta solo della mia vita, qui si tratta di un mostro culturale e sociale che dobbiamo abbattere. Che dobbiamo trasformare. La libertà di essere. Di accettare i no. Di capire che si può vivere nonostante i fallimenti. Ci si rialza. Imparare che si esiste al di là dell’altro e se l’altro a un certo punto non vuole più condividere la strada con noi, noi non ci perdiamo, non ci annientiamo. Possiamo trovare una strada diversa. Si deve imparare a camminare prima da soli, per poter poi, fare altrettanto insieme a qualcuno.
Allora, continuo a chiedermi come posso educare i miei figli all’amore libero, verso se stessi e verso il prossimo. Quello che ti rende felice, anche quando e soprattutto, la persona che ami è felice facendo qualcosa che la realizza, la fa stare bene, semplicemente che le piace. Anche se quella cosa non la fa insieme a te.
Quello che se dici:” no, non mi va!”, si ferma.
Lo posso fare io, insieme a loro padre. Con l’esempio, con le parole. Questo però, non mi da la certezza di riuscirci. Serve una società, una cultura che cambi.
Non è solo il 25 novembre che dobbiamo urlare No alla violenza sulle donne. Lo dobbiamo fare ogni santo giorno. Con le parole, con l’educazione, con i fatti.
Ognuno come le gocce d’acqua che, una dopo l’altra, hanno formato gli oceani.
Diario di Bordo