In questi giorni, mentre porto Mattia all’asilo la mattina presto, osservo tanti ragazzini e ragazzine con i loro zaini grossi sulla schiena, andare a scuola. L’adolescenza. Che paura.

Da un lato, perché mi riporta a quel periodo della mia vita che, a essere proprio onesti è stato pessimo. Dall’altro mi proietta al futuro: guardo questi ragazzini e penso che in un tempo non troppo lontano, anche questi miei due MiniMe diventeranno così grandi.

E’ un pò prematuro pensarci. Un pò come “fasciarsi la testa prima di rompersela”, però ammetto che mi capita di rifletterci su, tanto più che molto spesso, quando la gente guarda i miei piccoli con tenerezza esclama: “se li goda, sono belli adesso, vedrà poi quando crescono…”.

Da ragazzina sono stata più volte derisa, presa in giro, emarginata. Sono stata oggetto di quello che possiamo chiamare bullismo, non fisico, ma psicologico. Non oso immaginare se all’epoca avessimo avuto i social, i cellulari. Ecco cosa mi spaventa per i miei figli.

Oggi per farti soffrire, si hanno molti più strumenti. Basta una foto, due parole e un click. La quantità di gente raggiunta in un secondo è incredibile. Il dolore che infliggi enorme.

Io ero magrissima, informe, con capelli lunghi, poco voluminosi, sottili, l’apparecchio ai denti, gli occhiali. Un look un pò “sfigato”, qualsiasi cosa indossassi, sembrava ci fossi caduta dentro per caso. Per assurdo, mettevo più minigonne a quattordici anni che a venti. Perché così mi sembrava di acquisire quello che in realtà, mi mancava: crescere.

Ricordo che a volte mi guardavo allo specchio e mi facevo rabbia. Ho sempre dimostrato meno della mia età: a 24 anni ancora, in discoteca mi chiedevano i documenti. Tutti vantaggi per il futuro, ma allora non lo sapevo e ne soffrivo.

Sì, sono sopravvissuta a questo! 🙂

Ricordo un episodio in particolare, per uno scherzo fattomi mentre ero a casa con la febbre, quando ero in prima media, ho avuto contro quasi una scuola intera. Un polverone incredibile, per un cosa che avrei detto, quando io nemmeno ero presente, quando io, per la timidezza, parlavo solo alla mia ombra. Al mio rientro in classe, la sorpresa: “tu hai detto, tu hai fatto…!”, non volevo più andare a scuola, è intervenuta mia mamma, il preside, i professori e sapete alla fine come se la sono cavata i responsabili? Con un “oh, sai avevi ragione tu, ci siamo sbagliati, è stato uno scherzo”.

Certo uno scherzo che ha fatto ridere voi, di certo non me.

Ecco di cosa ho paura per i miei figli.

Eppure, per quanto mi riguarda, ne sono venuta fuori. Potevo essere un tipo dall’autostima sotto i piedi, da mille paranoie, complessi e altro ancora. Invece, ho trasformato tutta quella energia negativa e cattiva, nella mia forza, nella mia carica.

Sia chiaro, non mi sento esente da imperfezioni, non mi sento la più bella del reame, ma di una cosa sono certa: io sono come sono e non valgo meno di chiunque altro a questo mondo.

Oggi adoro fare scelte in cui credo anche se controcorrente e poi, guardare il mondo con aria di sfida: non mi importa di cosa pensa la gente.

La mia fase ribelle! A “soli” 28 anni! 🙂

Come ci sono riuscita? Ecco il punto: grazie alla mia famiglia, alla mia mamma e al mio papà. 

La prima mi ha difeso a spada tratta, a volte pure in modo imbarazzante. Lo farebbe anche adesso se ce ne fosse bisogno. L’amore incondizionato e cieco di mia mamma, mi hanno fatto sentire e continuano a far sentire amata. Lei, come mia nonna, quando le chiedi come sto con questo taglio di capelli? ti risponde: Bene! ma anche prima eri bella!”. Capito cosa intendo?

Il mio papà, il mio saggio, orso, che mi ha fatto piangere con le parole, più che con li sculaccioni. Lui mi dice sempre la verità, quello che pensa, anche se mi farà male.

“Papà, perché non mi vuole nessuno? Perché le ossa non le vogliono nemmeno i cani! Mangia di più, Chicca, metti su qualche kg, qualche forma e vedrai”. Lui ha sempre ragione. Se devo fare una scelta, se ho un dubbio amletico, è lui che interpello. Lui picchia duro, ma mi continua a insegnare molto.

Essere genitori, l’ho capito ora che lo sono, è il mestiere più difficile che ci sia. Non è una frase fatta come ho spesso creduto.

Il mio compito, con i miei figli, è proprio questo: insegnar loro che il loro valore, non si misura dall’etichetta che sta sopra al maglione o ai jeans, dal tipo di macchina con cui ti accompagnano a scuola. Insegnare ai miei figli ad amarsi a prescindere da ciò che il mondo dirà di loro.

Insegnare a rispettare il prossimo, per essere a loro volta rispettati.

A difendersi, senza calpestare chi gli sta davanti.

Il mio compito è amare i miei figli incondizionatamente, farli sentire amati senza ma e senza se. Lasciarli essere ciò che sono e saranno, tenendoli per mano ed essendo pronta a porger loro una mano quando me lo chiederanno.

Insegnare loro che la vita è fatta di tappe, ogni cosa ha il suo tempo. Non avere fretta di crescere, perché le cose arrivano al momento giusto. Insegnare loro che si può anche non essere belli come una modella, come un attore, come quella compagna di banco che sembra avere tutto facile, perché boh, perché con un bel naso, sorriso, sguardo. Insegnare loro che se loro si amano dentro, non c’è niente e nessuno che possa portargli via questa forza.

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