La convinzione che sia difficile rimediare, tornare indietro, è radicata in me direi da sempre. Almeno da quando andavo alle medie. Ogni fottuta volta in cui iniziavo a scrivere una frase sul protocollo di brutta del compito in classe di italiano, se quello che avevo scritto non mi piaceva, buttavo via il foglio e ne prendevo uno nuovo. E poi, di nuovo un altro e un altro ancora, fino a quando finalmente, completavo il tema.
Lo faccio anche oggi, quando scrivo i miei post. Di sicuro, l’era digitale aiuta: invece che buttare fogli su fogli, cancello tutto e riparto.
E così, questa cosa che non si torna indietro, ma anche che, in qualche modo bisogna andare avanti, è radicata in me.
Sarà questa mia attitudine al tutto o niente, al bianco o nero… niente mezze misure. E dopo 41 anni che vivo così, un po’ stanca lo sono.
La frittata è fatta e ora ti arrangi
Che alla mia età, dovrei anche aver imparato qualcosa e invece no.
Ogni volta che sento di sbagliare qualcosa ho questa sensazione del non si torna indietro. È tutto da rifare completamente. Cambio stanza, cambio posto, cambio aria.
La Frittata, mi dico, oramai è fatta.
E mi domando ogni volta il perché?
Il perché io non sia in grado di accettare di non riuscire in qualcosa, senza sentire minata l’autostima e senza pensare di perdere la stima di qualcuno. Senza pensare che io sia tutta da rifare.
Piuttosto che accettare quel pezzettino di me, che non è bello come avrei voluto.
Il mio giudice peggiore, sono io. E poi, ovviamente, cerco anche la sentenza altrui.
Che mi rende ancora più vulnerabile.
Anche perché c’è sempre chi è pronto a sparare sulla croce rossa (si dice così, no?).
Pur di non trovarmi nella condizione di essere ripresa, di essere in difetto, mi sfinisco per fare al meglio, prevedendo e fissandomi in modo ossessivo su ogni probabile evoluzione della cosa che sto facendo.
Non ho mai dato un esame all’università “tanto per provare che sia mai che lo passo”.
No. Io dovevo vomitare sui libri le ore di sonno perse per studiarli, aver letto qualunque cosa, sfinirmi fino a quando arrivava il giorno dell’esame. Ho preparato statistica, appiccicando su ogni anta del mio armadio non so quanti fogli pieni di formule.
Niente. Non ho mezze misure.
Do tutto o niente.
E devo dire che questo stanca e no, non ti evita le delusioni, le frustraIoni, no.
Solo che essendo così, ti ci incastri dentro a queste frustrazioni, delusioni e dentro di esse, immersa fino al collo, come riflettendomi in uno specchio che distorce, guardo me stessa e non ne esco più.
Eppure, mi hanno detto, che quando imparerò ad avere piena consapevolezza di me stessa, dei miei pregi e dei miei limiti, non avrò più paura. Così come, nelle mie insicurezze più grandi, non sconfinerò più, nel prossimo, nè darò più importanza al suo giudizio.
E questo, stare dentro la frustrazione, accettarne le conseguenze, senza per questo intaccare la mia autostima, ecco questo secondo me, è una grande cosa da imparare e soprattutto, da insegnare ai miei figli.
Eppure, una delle più difficili.