Dieci giorni senza scrivere. Mi stupisco, quando dico da sempre che vi scrivo solo di ciò che mi colpisce, che mi impressiona.

Vi assicuro che in questi dieci giorni, caspita se ho preso un bel pugno nella pancia, a tal punto che non ho ancora capito se, il dolore all’addome, che ho sempre da dieci giorni, sia dovuto a qualche infiammazione, oppure se il carico emotivo sia stato così pesante, da aver somatizzato sino a questo punto.

Dieci giorni di silenzio.

Ci sono eventi e situazioni che ti lasciano senza un filo di voce, tante lacrime e tanta paura. Anche quando non sei tu la diretta interessata, ma una persona a te vicina e a te così cara.

Tutto ciò che fino a quel momento ti sembrava prioritario, passa in secondo luogo.

Volente o nolente sei davanti a un qualcosa che cambia la routine di tutti i giorni che, scopri amaramente, pur se noiosa, stressante e ripetitiva, ti faceva sentire al sicuro. È la rivorresti subito.

Paura.

Ecco dove percepisco tutti i miei 40 anni.

Ho molta più paura. Di stare male. Di veder stare male. Di morire.

Per anni si viaggia convinti di avere sempre la stessa età: certo, diventi donna, ma ti senti ancora ragazzina, diventi mamma, ma resti figlia.

Ragazzina e figlia, parti di me che non mi abbandonano mai

Per anni vai avanti in una sorta di incoscienza, poi, chi prima, chi dopo, incominci a confrontarti con i pensieri, quelli non proprio facili e nemmeno belli. Quelli che ti fanno esclamare: caspita! Sono cresciuta, qualcosa è cambiato davvero.

Ed è lì, in quei momenti che tocchi con mano l’effimerità della tua esistenza e, se sei anche genitore, beh ecco che la tua paura cambia prospettiva.

Se mi succede qualcosa, come faranno i miei figli?

Se mi succede qualcosa….

Oramai è così, un qualsiasi sintomo, la ricerca su google e pensi: è finita.

Non sono mai stata troppo ipocondriaca, forse un pochino, ma mai come negli ultimi tempi. Ed è terribile esserlo.

La paura fa novanta, si dice, no?

Eccome se è vero.

Si, ho paura di morire, ho paura di stare male. Ho paura che i miei cari stiano male.

Proprio adesso, penso?

Proprio ora che siamo vicini al Natale, per me una sorta di zona confort, di quelle in cui è vietato che succeda qualcosa. Quel mese in cui si deve solo pensare alle luci, agli addobbi, ai regali e al panettone. Quel mese magico che, almeno una volta all’anno, ci deve essere concesso di tregua dai pensieri brutti.

Come una palla di vetro, di quelle che capovolgi e poi scende la neve e quando la neve è finita, la ricapovolgi e rinevica.

Immagine tratta da http://www.rivelazioni.com/natale/cartoline_natale/img_

Tornare bambini, almeno una volta all’anno. Non per pensare ai regali che Babbo Natale ci porterà. Invece, per avere quell’innocenza, quella sensazione di pace, di serenità.

Chiedetemi ancora, perché mi piace il Natale

Chiedetemi ancora perché mi scoppia il cuore di gioia quando insieme ai miei figli e al mio compagno, facciamo l’albero, rigorosamente l’8 dicembre e con jingle bells a tutto volume.

Perché non è che non sappia che la vita può essere crudele, perché non è che non sappia che Natale non è un deterrente per le cose brutte.

Io però, ho bisogno di continuare a credere in Babbo Natale, ho bisogno di emozionarmi davanti all’albero di Natale, perché alla fine, ho una fottuta paura.

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