Cosa farò da grande?

Una domanda che mi pongo da sempre. Ci sono persone che già da bambini lo sanno. Quando glielo chiedi rispondono sicuri: il dottore, il cuoco, il dentista.

Io no, non sono stata una di queste.

Da piccola avrò cambiato mille volte idea: dalla benzinaia, mi piaceva quando lavavano i vetri della macchina e poi, avevano sempre il borsellino pieno di soldi, (eh lo so, ragazzi è così!); poi la farmacista (mi piaceva il modo con cui toglievano il talloncino dalle scatole dei farmaci, con quel coltellino. Ditelo a mia madre che si trovava dei buchi!) e poi, l’archeologa: ho studiato come trovare il Santo Graal per mesi.

Alla fine, ho studiato psicologia, perché la mia mente contorta aveva bisogno di qualche coordinata attraverso cui muoversi. E’ capitato un pò per caso, comprando un libro dal titolo: “Che cos’è la psicologia?”.

Me ne sono innamorata, della psicologia intendo e rifarei questo percorso altre mille volte, ma sono psicologa, ora?

No.

Allora, cosa farò da grande? A quasi quarant’anni io non lo so ancora, seguo il mio percorso raccogliendo le briciole per terra, quelle briciole che la vita mi lascia e che bisogna saper cogliere, come Pollicino.

Percorro la mia strada così, inventandomi ogni volta, a volte anche ogni giorno, eppure ho una certezza, non ho bisogno di pensarci su nemmeno un secondo ed è questa:

Io da grande dovevo “fare la mamma”.

Non c’è altro nella mia vita che so con più chiarezza.

Ora lo so e forse, ecco perché non ho trovato prima la mia strada.

Questo non significa che io lo sappia fare perfettamente, non significa nemmeno che i miei figli possano essere pienamente soddisfatti di me. Significa solo, che li amo più di tutto, più di tutti e che inventarmi ogni giorno con loro, è la cosa più bella che ci sia.

Sbaglio, mi stanco, sclero, urlo, sbotto, ho crisi del tipo: “voglio un pò di spazio per me!”, ma sempre con questa certezza nel cuore: non mi pesa, lo farei mille volte e mille volte ancora.

Ho scelto il mestiere più difficile del mondo, ma anche il più appagante.

Richiede capacità multitasking sempre attive, capacità organizzative importanti (che io non ho), richiede pazienza, richiede braccia immense per dare abbracci immensi, una bocca sempre a cuore pronta a dare bacini.

Serve il bacio magico, contro la bua. Serve avere la capacità di essere sinceri e rispettosi. Serve dare il buon esempio, spesso una delle cose più difficili (Matty non bere la Coca Cola, detto sorseggiandone un bicchiere, per dirne una).

Serve la capacità di sciogliersi e meravigliarsi davanti a un sorriso sdentato, a un bacio rubato.

Serve sopportare la nostalgia dei giorni che corrono veloci e dei momenti che non tornano più.

Serve non avere paura di donarsi all’altro. Serve essere pronti a mettere se stessi in secondo piano, almeno per un pò e la capacità a un certo punto, di riequilibrare le cose.

Io amo essere mamma. Io amo svegliarmi al mattino con quattro paia di occhietti che mi guardano incalzanti e che mi faranno correre sino a tarda sera.

Perché loro colorano la mia vita, perché loro un pò si prendono la mia vita e la rendono migliore.

Che poi, una cosa la sto sapete? Non sono i nostri piccolini a essere complicati, spesso è il contesto che ci circonda a esserlo. Serve allora, anche e soprattutto la capacità di barcamenarsi tra gli ostacoli e le rotture della vita, difendendo e preservando ciò che di più prezioso si ha: i figli.

 

 

 

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