Non sono brava a giocare, ho fatto outing tante volte. Mi annoia. Appena mi siedo per terra con una bambolina o una macchinina o qualunque altro gioco, io inizio a sbagliare. Per giocare c’è papà Simo, zia Chami, nonna Mery. C’è invece una cosa, che amo fare: insegnare ai miei figli. E per me, insegnare loro a fare le cose, significa, pensate un po’, farlo giocando. Quando ho capito bene una cosa, il mio dono è quello di riuscire a spiegarla in modo semplice, fruibile. E mi piace farlo, mi piace condividerlo. Perché ho pazienza, perché ho la capacità di saper spiegare le cose in modo chiaro, ma soprattutto, di mettermi al livello di chi sta imparando, senza essere saccente. Il mio essere empatica, qui, mi aiuta molto. 

Questo lo faccio da sempre con i miei bambini, ma ora che abbiamo iniziato la prima elementare, nella nostra routine sono entrati a far parte anche i compiti.

I compiti nel week end, sono affari miei e di Mattia, (almeno finché non arriverà l’algebra e la fisica 🙂 ).

Iniziamo sempre un po’ litigando, ma poi, “scaldiamo i motori” e udite, udite, ci divertiamo pure. Quando lo vedo arrabbiarsi perché non riesce a fare qualcosa, quando inizia a piangere, prima lo strozzerei, poi tiro fuori tutte le risorse che ho e per prima cosa gli dico: tu ce la farai.

Una sola regola: la mamma si arrabbia quando sbagli o non riesci perché non ti sei impegnato. Se sbagli o non riesci, ma ti sei impegnato, non c’è alcun problema: si riprova ancora e ancora.

Questa cosa, quella dell’insegnare divertendoci, me l’ha passata mia mamma. Per farmi ricordare le cose, non avete idea di cosa si inventava, di che giochi mnemonici tirava fuori. E ridendo, io imparavo. Così per scrivere la a e la o in corsivo, basta ricordarsi che la prima fa lo sgambetto e la seconda alza la mano.

L’obiettivo di questi giorni, per Mattia , è imparare a impugnare la matita in modo corretto. Ce lo ha fatto notare il maestro, che, purtroppo per via del COVID, non può correggere l’impugnatura mentre è in classe. Tocca a noi genitori. Tocca a me. E sapete che c’è già da ridere: io che ho il callo dello scrivàno, che vanto un’anzianità calligrafica non da poco, beh non riuscivo a spiegare a Mattia un gesto così automatico, da non saperlo descrivere. Ho anche chiamato Simone per chiedergli supporto.

Poi, giusto o sbagliato che sia, mi sono inventata un giochino. Ho disegnato su ciascuna delle tre dita coinvolte nell’impugnatura della matita, una faccina di colore diverso. Poi ho detto a Matty che l’indice (faccina nera) e il pollice (faccina rossa) baciano la matita, mentre il dito medio (faccina verde), che è super forzuto, li aiuta sorreggendola.

E ha funzionato.

Ogni volta che qualche dito sfuggiva alla sua postazione, Mattia riusciva a correggersi, senza piangere, senza lamentarsi.

E io sono contenta, quando lo vedo imparare, anche perché alla fine, io ritorno a imparare con lui.

Del resto…

Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna. 

Albert Einstein

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