Non sarò nè la prima nè l’ultima.

Per me, però, è una di quelle famose prime volte di una mamma.

Se chiudo gli occhi, ricordo solo me da bambina che resto in campagna con mia mamma e mia sorella, mentre mio papà faceva su e giù da Genova per andare a lavorare.

Questa volta, però, sono io. Sono io che lascio la mia famiglia in campagna per scendere a lavorare.

Non ha senso fare avanti e indietro, così a questo primo giro, ci escono tre giorni solo per me. A fine mese, addirittura quasi una settimana.

Chissà quante mamme lo hanno fatto prima di me e probabilmente per molto più tempo: viaggi di lavoro, la decisione di mandarli in campagna con i nonni per un mese, “piuttosto che farli impazzire in città”.

Insomma, per molti è normalità.

La prima volta per me

Questa mattina ho preso il treno che mi sta riportando in città, sola, con il magone, gli occhialoni da sole a nascondere i lacrimoni.

Che novità, io che piango.

Che ci volete fare, sono fatta così.

In un quarto d’ora ferma in stazione ad aspettare il mio treno, ne ho visti passare tre, velocissimi e tutte e tre le volte, mi sono ritrovata a parlare da sola, interrompendomi al: “Matty! Guard….”.

Che sciocca. Che inguaribile romantica.

E per affondare il coltello nella piaga, ascolto le nostre canzoni preferite.

Ho preso il nostro solito autobus, pensando che quello rivestito di pubblicità tutta bianca, non lo avevamo ancora preso. Proprio oggi, che le belvette non sono con me.

Ho percorso le nostre strade, con il magone, con la radicata convinzione che non è semplice, tornare a ragionare per me sola, quando io oramai, lo faccio per tre, ogni giorno da più di cinque anni a questa parte, perché Amalia e Mattia fanno parte di me.

Mia mamma mi ha già chiamata, perché lei mi conosce, lei lo sa, come sono fatta. Lei è la mia mamma. Lei è come me.

Normale istinto di autoconservazione

Eppure, stare un po’ in pace, da sola, non è quello che almeno una volta ogni due giorni, mi sono augurata, quando esausta dovevo ancora mettere i piatti in lavastoviglie e i miei figli correndo hanno rovesciato l’ennesimo bicchiere sul pavimento? Uno che urla, l’altra che piange… mammamammmamammamammamammaaaaaaaaaaa.

Si, lo confesso, mi è capitato, mi capita e mi capiterà ancora.

Credo sia normale istinto di autoconservazione.

Allora, di che mi lamento? Ho tre giorni per ripristinare i miei spazi, i miei tempi.

E una parte di me, lo sa che queste in realtà, sono davvero le mie ferie.

E ripenso sempre a lei, all’ambivalenza di una mamma, vorrei, ma non voglio.

Così sono triste perché lascio per qualche giorno i miei figli, – che tra l’altro se la passeranno alla grande con papà e nonni al seguito, in campagna a sguazzare nel verde e in piscina -, guardo altre mamme e i loro bimbi con occhi a cuore, ma gioisco, al pensiero di potermi fare i fatti miei per un pó!

Allora…. mi dico: Carpe Diem, Fede!

Che tre giorni volano!

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