Qualche giorno fa, mi ritrovavo a dover gestire l’ennesima crisi di pianto di Amalia. Non ricordo quale fosse il motivo per cui si fosse arrabbiata, sta di fatto che se ne stava seduta per terra a urlare e piangere.

Il caldo di questi giorni, la pazienza che a metà giornata era già al livello limite, ecco me ne sono andata in cucina a finire le mie faccende, lasciandola alla sua disperazione.

Poi mi si è accesa una lampadina. Anzi, come quando si riavvolgevano le videocassette per tornare a un punto preciso di un film, io ho riavvolto mesi della mia vita. La stessa scena, ma con Mattia.

Non avrei sopportato di lasciarlo piangere solo e forse, avrei avuto la pazienza di cercare di consolarlo, di parlargli, di V E R B A L I Z Z A R E, perché imparasse a riconoscere le proprie emozioni, a dar loro un nome. In questo, un’emotiva cronica come me, è campionessa olimpica.

Ecco. I secondi. I secondi figli.

L’amore è indiscutibilmente lo stesso, anche se manifestato in modo unico per ciascun figlio.

La pazienza, non sempre.

Quando è nato Mattia, iscritta a mille gruppi su Facebook, ero perseguitata dal fantasma della Montessori. Per dirla Freudianamente (che fa pure Figo), il mio Super Io era dittatorialmente Montessoriano. Come vi ho già raccontato in altri post, learning tower, cestino dei tesori, travasi, verbalizzazione. Sapete anche, come in parte tutto questo sia stato fallimentare con Matty. Non perché in lui o in me qualcosa non andasse, ma perché ognuno è fatto a suo modo. Se Mattia era arrabbiato e io mi mettevo a verbalizzare, il risultato era che si in@&&&va ancora di più. Grazie anche all’aiuto di una maestra meravigliosa, ho poi, capito che per lui serviva il contenimento fisico: per esempio, se lui voleva andare a destra, mentre era giusto che andasse a sinistra, bastava prenderlo proprio e metterlo nella direzione giusta. Poche parole e più fatti, insomma.

Mi sono torturata mesi, pensando di essere la peggiore mamma del mondo. Perdevo le staffe, urlavo, mentre tutte le mamme che leggevo nei gruppi, non urlavano mai, verbalizzavano e tutto si risolveva.

Quando è arrivata Amalia, il mio Super Io si è liberato della parte montessoriana: tanto non funziona, pensava.

Mi è rimasto dentro solo la famosa frase: aiutami a fare da solo, ma ve l’ho già raccontato come la penso a riguardo.

Si è impossessato di lui, del mio Super Io intendo, invece, la modalità sopravvivenza alla meravigliosa esperienza di dover gestire due bimbi 0-2 anni.

Tempo? Ciao

Tutto si è accelerato e la cosa pazzesca è che non ho più pensato a tanti aspetti che con Matty invece, guardavo.

Per farvi capire meglio, torno ora a qualche giorno fa, a quello che vi stavo raccontando all’inizio di questo post: Amalia disperata e io esasperata, quasi rassegnata a ore di urla: tanto nulla la consola e di certo, non posso darle cui che vuole, perché sarebbe un controsenso avergliela negata prima.

La lampadina, dicevo: verbalizzare.

Ad Amalia non ho mai parlato delle sue emozioni, nello stesso modo con cui l’ho fatto con suo fratello.

Cosi, quel pomeriggio l’ho fatto, ho riprovato: mi sono seduta accanto a lei, l’ho abbracciata e le ho detto:” Amalia lo so che sei arrabbiata perché ti ho tolto il bastone che avevi in mano (un pezzo della scopina che si era rotto), ma è pericoloso, potresti farti male. Hai capito?”.

“Si, mamma”.

“Sei ancora arrabbiata?”

“No, mamma!”.

Si è asciugata gli occhi, ha smesso di piangere e si è rimessa a giocare.

Ha funzionato! E sta funzionando ancora.

Ecco.

Bastava solo fermarsi e respirare un pó.

Non imbrigliatevi dentro reti di teorie, leggete, informatevi, ma poi, come con un setaccio, tenete dentro qualche linea guida, per il resto guardate i vostri figli, concedetevi il tempo di provare e anche la possibilità di perdonarvi se quella strada non sembra essere quella giusta.

È un lavoro di squadra: noi e i nostri figli insieme.

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