Diario di Bordo

Quando giocare a tetris non è divertente, ma logorante. Di cosa parlo? Delle mamme che lavorano e non solo

Sono arrabbiata.

Donne e madri che lavorano, lavoravano, lavoreranno, forse, chissà.

Ho sentito di mobbing sul lavoro al rientro dalla maternità, ho visto e vedo madri fare salti triplo mortali per riuscire a gestire i figli, per andare al lavoro. Orari impossibili, sempre di corsa.

Vedo madri che hanno rinunciato al proprio lavoro perché incompatibile con la gestione di una famiglia con bimbi.

Vedo famiglie spendere chissà quanti euro per lasciare i figli al nido e altre non poterselo permettere, per cui si torna al punto di cui sopra.

So benissimo che, spesso, lo stipendio di una donna copre giusto la rata dell’asilo. Quindi, si lavora perché? Per mantenere il posto. Perché si spera che, quando i figli saranno in età da scuola dell’infanzia, almeno in quel senso, si possa tirare un sospiro di sollievo.

Sono arrabbiata.

Una volta una donna non lavorava, si occupava dei figli, della casa.



Spesso non era contenta nemmeno così, perché questo significava non contare molto, visto che “non porti a casa lo stipendio”. Poi, c’è l’ambizione, poi c’è la voglia di realizzarsi, poi c’è che i figli crescono, il nido si svuota e noi donne rimaniamo lì, ferme, perse, senza sapere che fare.

Allora è anche giusto, se una vuole, costruirsi una professionalità, è giusto lavorare, tanto più che al giorno d’oggi, uno stipendio non basta.

La scelta. Ecco cosa manca. La possibilità di scegliere se dedicarsi totalmente alla famiglia, o se continuare a lavorare anche dopo i figli.

Perché poi, una cosa dovrebbe escludere l’altra?

Soprattutto, allora, manca una politica del lavoro che non penalizzi la donna in quanto madre, che le dia la possibilità di fare un orario part-time se lo desidera, per esempio.

Essere mamma e lavorare invece, sempre più, significano guai.

Allora sono arrabbiata, tanto.

Perché io i figli me li voglio crescere, voglio seguirli nei loro primi passi, voglio aiutarli a fare i compiti. Voglio vivermeli.

E credo, questo sia il desiderio di molte mamme.

La scelta dicevo, sapete che ripensandoci forse c’è?

O rinunci al tuo lavoro

O impari a fare i salti mortali, a correre più veloce di Bolt, a tenere in bilico su due mani famiglia, casa, lavoro.

Accontentandoti di rimboccare le coperte ai tuoi figli, invece che portarli al parco in un pomeriggio di sole.

A buttare giù quel nodo in gola che ogni mattina hai, lasciando tuo figlio di pochi mesi al nido. Le maestre vedranno i suoi primi passi, tu forse no.

A sopportare ritmi così frenetici, da toglierti il respiro.

A non essere sopraffatta da quello che è stato definito “carico mentale”, prerogativa femminile: la visita dal pediatra, il vaccino di uno dei figli, la lezione di danza di una e quella di tennis dell’altro. C’è da pagare la rata della spazzatura, c’è da portare la scatola per il lavoretto alla maestra. Alle 10 la riunione, alle 16 l’uscita dalla scuola, ma prima alle 14 quella dal nido. C’è da comprare la frutta, lo zucchero, ah no quello l’ho preso ieri! Manca l’olio e le cipolle! Devo stendere la lavatrice! Cosa cucino stasera? E domani che rientro tardi?

Posso andare avanti all’infinito, ma mi fermo, perché tanto tutte voi che mi leggete, sapete bene, benissimo di cosa parlo.

Si, alcune potrebbero replicare, mio marito, il mio compagno mi da una mano, collabora, è questo il segreto.

Forse, ma personalmente non ne sono convinta.

Sono arrabbiata, arrabbiatissima.

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