Quando abbiamo smesso di gioire delle piccole cose? Come del profumo del pane appena sfornato, di una nuvola che corre nel cielo blu, della lentezza del tempo quando ci si annoia.

Quand’è che abbiamo smesso di stupirci davanti a un piccolo paese in festa con il cielo scoppiettante e colorato dai fuochi d’artificio?

Quando abbiamo smesso di meravigliarci? E iniziato a dare tutto per scontato, a pretendere perché “siamo nel Duemila mica nel Paleolitico”?

Siamo diventati così cinici da non guardare più in là di noi stessi.

Quando abbiano smesso di fare grandi pranzi in famiglia, senza che accada come per me ieri, di rivedere degli zii dopo anni?

La famiglia, la tradizione, le radici sono importanti.

Come negarlo, se passiamo del tempo a guardare gli occhi dei nostri figli per ritrovarci qualcosa di noi stessi. Allo stesso modo, guardo mio padre e mia madre e cerco me.

Potrei andare avanti all’infinito e non so la risposta precisa.

So però, che siamo e stiamo diventando davvero brutti. Guardiamo sempre il giardino del vicino e poche volte davvero il nostro.

Eppure quando mi capita, di fermarmi un attimo a guardarmi attorno, scopro tante piccole cose bellissime.

Saper guardare il mondo con occhi meravigliati

L’avrò detto mille volte, di quanto spesso sia merito dei miei figli, quando girovaghiamo insieme, se mi sento come Alice nel Paese delle Meraviglie. Come è anche vero il contrario, che siano cioè i miei bimbi a sentirsi come Alice e che sia io a far vedere loro le magie del mondo.

Cercare meraviglia, la bocca a “OH”, è fondamentale, perché altrimenti potrei crescere dei figli che non sanno godere delle piccole grandi cose della vita.

Lasciarsi sorprendere dalla vita, che mentre con la mente stai lì a rimuginare su una giornata che non è stata come forse volevi, ti ritrovi qualche giorno dopo con un sorriso stampato in viso, proprio ripensando a quel gelato preso nella sera di quella stessa giornata, l’emozione rimane impressa anche quando la ragione vorrebbe soffocarla.

Respirare aria fresca, gioiendo di ciò che si ha.

Come si fa? Si prende un aquilone colorato e lo si fa volare in cielo, come una gigantesca farfalla. Ci si sdraia sul prato e si guardano le nuvole. Si corre in paese in pigiama solo perché si è visto improvvisamente schiarire il cielo dal letto, ci sono i fuochi! Si sta in mansarda con la musica a palla a ballare. Si guida in macchina ridendo insieme con la mano davanti alla bocca, perché la mamma è proprio buffa quando canta.

Si guarda il Moto GP tra uomini, con il più piccolo che urla Dai vai Vale raggiungi!

Ci si ferma ad abbracciarsi davanti a uno spettacolo della natura: due alberi stretti tra loro, come noi nel nostro abbraccio.

Si fa come con l’obiettivo di una macchina fotografica: si mette a fuoco solo ciò che ci fa bene al cuore e si sfuoca ciò che ci piace meno. Si è grati per quello che si ha, senza darlo per scontato.


Si rallenta il passo.

Io non faccio altro che pensare a questo. Io voglio rallentare il passo. Mentre invece, il rientro al lavoro si avvicina velocissimo e mi fa ansimare. Io non voglio più correre. Non voglio più rientrare nel vortice che ti fa correre come nella ruota di un cricetino. No, io voglio andare avanti.
Il mio obiettivo ora è questo. Smettere di trattenere il fiato, smettere di vedere ciò che non mi piace per poter sospirare e dire oh povera me.
Il mondo non lo cambio, mi ripete spesso mio papá, ma forse, il mio mondo un pochino sí.

 

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